Scialatielli con crema di zucchine e ragù bianco di vitello

Gli scialatielli sono un formato di pasta tipico della zona di Napoli e la sua origine è da attribuire allo chef Enrico Consentino che nel corso del 1978 presentò gli scialatielli in occasione di un concorso culinario, consentendogli di aggiudicarsi il premio entremetier dell’anno. Hanno una forma rettangolare, simile a quella delle tagliatelle, ma sono più spessi ed irregolari. Due i procedimenti principali per realizzarli: si può preparare una grande tagliatella, che poi viene arrotolata attorno all’apposito ferretto e strofinata sulla spianatoia. in alternativa si può staccare un pezzo di impasto da tirare direttamente sul ferretto. Per quanto riguarda le origini del nome, invece, sembra che derivi da due termini tipici della lingua napoletana, ovvero “scialare”, che significa godere, e “tiella”, che significa padella. Per tradizione sono fatti a mano, con farina, acqua e/o latte, formaggio grattugiato, basilico fresco tritato e sale. Ovviamente sono disponibili anche quelli realizzati in produzione industriale e ognuno può scegliere quale sia più adatto alle proprie esigenze. Riconosciuti come prodotto agroalimentare tipico della regione, uno degli aspetti che piace di questa pasta è l’assenza di uova.
Scialatielli con crema di zucchine e ragù bianco di vitello
Gli scialatielli sono un formato di pasta tipico della zona di Napoli e la sua origine è da attribuire allo chef Enrico Consentino che nel corso del 1978 presentò gli scialatielli in occasione di un concorso culinario, consentendogli di aggiudicarsi il premio entremetier dell’anno. Hanno una forma rettangolare, simile a quella delle tagliatelle, ma sono più spessi ed irregolari. Due i procedimenti principali per realizzarli: si può preparare una grande tagliatella, che poi viene arrotolata attorno all’apposito ferretto e strofinata sulla spianatoia. in alternativa si può staccare un pezzo di impasto da tirare direttamente sul ferretto. Per quanto riguarda le origini del nome, invece, sembra che derivi da due termini tipici della lingua napoletana, ovvero “scialare”, che significa godere, e “tiella”, che significa padella. Per tradizione sono fatti a mano, con farina, acqua e/o latte, formaggio grattugiato, basilico fresco tritato e sale. Ovviamente sono disponibili anche quelli realizzati in produzione industriale e ognuno può scegliere quale sia più adatto alle proprie esigenze. Riconosciuti come prodotto agroalimentare tipico della regione, uno degli aspetti che piace di questa pasta è l’assenza di uova.
Istruzioni per cucinare
- 1
In una padella calda mettete un giro d'olio, la cipolla tritata e la carota tritata. Fate appassire leggermente aggiungendo un goccio d'acqua per non bruciare la cipolla. Poi aggiungete il macinato, il timo, il sale e il pepe. Fate insaporire, sfumate con il rum e fate cuocere coperto per circa 15 minuti. Mettete da parte il ragù senza pulire la padella.
- 2
Pelare le zucchine (ma non buttare via la buccia di 1 zucchina che taglierete a pezzetti). In una padella mettere la cipolla e la patata tagliata a fettine sottili. Fate insaporire e aggiungete la polpa delle zucchine a cubetti, una tazza scarsa d'acqua, sale e lasciare cuocere coperto a fuoco dolce finché non sarà tutto ammorbidito.
- 3
In un pentolino con acqua salata bollente, fate bollire 5 minuti la buccia di una zucchina tagliata a pezzetti. Poi fate raffreddare in acqua e ghiaccio per mantenere il colore. Poi frullate insieme buccia, le zucchine cotte con la patata, un po' di foglie di basilico, olio a filo, fino a renderla una crema liscia e fluida. Per la densità regolatevi con acqua. Aggiustate di sale.
- 4
Mettete a cuocere la pasta in abbondante acqua salata. A un minuto dal termine cottura trasferitela nella padella calda dove avevate cotto il ragù aggiungendo la crema di zucchine. Mescolate bene, poi continuate la cottura aggiungendo acqua di cottura. A fine cottura aggiungete il ragù e amalgamate bene.
- 5
Impiattate aggiungendo un filo di olio a crudo.
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Il primo menu a base di speck ha una data abbastanza precisa. 5300 anni fa, infatti, a quota 3200 metri sull'attuale confine italoaustriaco, un antico viandante della val Senales consumò l'ultimo pasto a base di carne di stambecco affumicata: di lì a poco Oetzi, l'uomo del Similaun, sarebbe morto trafitto da una freccia e consegnato a una leggenda conservata dal ghiaccio. È lui il più anziano testimonial di uno dei prodotti-simbolo dell'Alto Adige, un capolavoro della più remota ingegneria alimentare, che ha trovato nell'affumicatura il metodo più efficace per poter conservare la carne quanto più a lungo. Da quello “speck dell'età della pietra” (come lo ribattezzò il professor Albert Zink, tra i massimi esperti del Similaun) ad oggi, la storia è lunga e, allo stesso tempo, quasi immutata: con il correre dei secoli, si è rafforzato l'uso di utilizzare la sola carne di maiale, ovvero il taglio nobile della coscia. Tony Mazzanobile -
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Plinio il vecchio, nella sua opera magna ‘Naturalis historia’, ci informa che furono i greci ad introdurre la pianta del noce in Italia ma, ancora prima dei greci, ci pensarono i persiani a diffonderla in Europa.Nel tempo la noce è stata sempre più apprezzata non solo come frutta a guscio da servire a fine pasto, ma anche per il suo legno, considerato particolarmente pregiato, perfetto per arredi lussuosi di abitazioni e dimore storiche.La noce è la regina della frutta a guscio che non manca mai nella dieta degli italiani, e come fine pasto o come spuntino quotidiano. Nel contesto di un’alimentazione bilanciata, la dose consigliata di frutta a guscio è di 30 grammi al giorno, meglio se al naturale senza sale, zuccheri e conservati aggiunti, che apporterà circa 200 kcal.A causa dell’elevato apporto calorico ed energetico è consigliato mangiare noci con moderazione, consumandole preferibilmente come snack e non al termine dei pasti. Chi soffre di malattie epatiche deve prestare attenzione alle porzioni di noci da assumere, così come non è indicato l’uso delle noci in chi è affetto da gastrite, colite o ulcera gastroduodenale. Chi ha una predisposizione all’insorgenza di herpes dovrebbe prestare attenzione all’assunzione di noci, in quanto la presenza di arginina potrebbe favorirne la comparsa. Inoltre per la presenza di ossalati, le noci sono tra gli alimenti da evitare da coloro che soffrono di calcolosi renale. Tony Mazzanobile -
Fusilli con crema di asparagi verdi e ragù bianco di tastasale Fusilli con crema di asparagi verdi e ragù bianco di tastasale
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Trofie con ragù bianco e crema di zucchine Trofie con ragù bianco e crema di zucchine
Con una patata e una carota che stava appassendo e grazie all'ispirazione di @tonyliebt_kocht ho potuto evitare di buttare via questi due ingredienti basilari per questo buonissimo primo piatto.# nonsibuttavianiente #cooksnaplamiaversione Nunzia Marzocco -
Fusilloni con crema di peperoni e speck croccante Fusilloni con crema di peperoni e speck croccante
Il nome origano è composto da due termini di origine greca: “oros”, che significa montagna, e “ganos”, che significa splendore, quindi “splendore della montagna”. Esso infatti nasce in altura nelle zone più rocciose e impervie, rallegrando il paesaggio con il rosa acceso dei suoi fiori.Esiste una famosa leggenda che racconta l’origine di questa pianta.Si narra che presso il re di Cipro, viveva un giovane sensibile e gentile, il cui nome era Amaraco (in spagnolo l’origano ha questo termine).Un giorno costui fu incaricato di portare presso la mensa del re, che intendeva meravigliare i suoi commensali, una preziosa ampolla contenente un unguento di fragrante profumo. Quando Amaraco entrò nella stanza, inciampò malamente e l’ampolla gli cadde di mano andando in mille pezzi. Tanta fu la sua disperazione che morì di crepacuore. Gli dei rimasero commossi da tanta contrizione, e lo trasformarono nella pianta d’origano, attribuendogli la straordinaria fragranza dell’unguento che aveva in qualche modo provocato la sua morte. Tony Mazzanobile -
Fusilloni con ragù d'anatra, funghi e castagne Fusilloni con ragù d'anatra, funghi e castagne
L’etimologia della parola ragù ha le sue basi nel francese ragoût, sostantivo derivato da ragoûter, che significa “risvegliare l’appetito”. Originariamente indicava piatti di carne stufata con abbondante condimento, che poi fu usato per accompagnare altre pietanze, in Italia, principalmente la pasta e il riso. Durante il periodo fascista, il regime volle italianizzare il termine, non consono al vocabolario fascista, trasformandolo in ragutto. I ragù tradizionali della cucina italiana sono almeno tre: quello bolognese, il napoletano e il potentino, noto come ndrupp’c (intoppo o inciampo).Il termine ragù si trova ad esempio quasi due secoli fa nel Manuale del cuoco e del pasticciere di raffinato gusto moderno di Vincenzo Agnoletti. Nel tomo I, alle pagine dedicate ai ragù e salpicconi (con carne intera), Agnoletti, che a Parma era stato cuoco di Maria Luigia, avverte che “questo nome francese di ragù, altro non significa che della carne cotta con sostanza tanto al rosso che al bianco, e questi servono per guarnizione e ripieno di altre vivande". Tony Mazzanobile -
Trofie con crema di asparagi bianchi e granella di pistacchi Trofie con crema di asparagi bianchi e granella di pistacchi
La storia delle trofie ha origine nel territorio che si affaccia sul Golfo Paradiso, fra i comuni di Sori, Avegno, Recco e Camogli, in provincia di Genova. Le trofie nascono come prodotto familiare, da preparare in casa, finché circa cinquanta anni fa, alcuni commercianti della zona decisero di estendere il loro commercio anche verso Genova, dove il termine “trofie” aveva sempre e solo indicato gli gnocchi. Il successo fu quasi inatteso e la diffusione piuttosto veloce. La parola sembrerebbe derivare dal genovese strufuggiâ, ovvero strofinare, che si rifà al movimento necessario per arricciarle con la mano che striscia la pasta sul pianale. Il Dizionario Etimologico Italiano di Battisti e Alessio del 1957, tuttavia suggerisce un accostamento a ‘tronfio’ il cui significato di base è anche ‘enfiato, tumido’. Infine, secondo un’interpretazione dotta il termine trofia potrebbe derivare dal greco trophe che significa nutrimento, o più verosimilmente ancora, dal latino torquere col significato di attorcigliare. Tony Mazzanobile -
Fusilli alle verdure con crema di zucchine e piselli Fusilli alle verdure con crema di zucchine e piselli
I piselli per migliaia di anni non sono stati mangiati freschi ma essiccati dopo la raccolta grazie alla loro ottima capacità di conservazione. Simbolo di fortuna e prosperità, in passato i fiori bianchi e gialli di questa leguminosa venivano intrecciati in ghirlande bene auguranti per le spose, mentre le sfere verdi del baccello erano una delle principali fonti di nutrimento. Sono fra i legumi coltivati e consumati da più tempo dall’uomo. In Asia Minore pare si conoscessero fin dal seimila a.C., ma erano certamente alimento di Greci, Etruschi e Romani. Nella letteratura gastronomica compaiono per la prima volta in Francia, secchi in una specie di purè al latte, ne Le viandier. Questa lettera di Madame de Maintenon, datata 10 maggio 1696, racconta la passione per i verdi legumi che furoreggiava a fine Seicento in Francia, alla corte di Luigi XIV. «È stupefacente», scriveva l'anno prima un biografo di Colbert, «vedere personaggi così dediti al piacere da acquistare i piselli verdi per somme enormi». Nella tradizione contadina appare la ricetta dei «piselli fricti in carne salata» inclusa da Mastro Martino da Como nel suo celebre ricettario, a metà del quindicesimo secolo. Da una parte si mettono a bollire i piselli, dall'altra si friggono fette sottili (lunghe «mezo dito») di carne salata, indi si uniscono i piselli a cuocere con la carne. È l'archetipo dei piselli al prosciutto, tuttora un piatto tipico della gastronomia italiana. Tony Mazzanobile
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